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Andrea Appiani

Paesaggio ideale con Venere e Adone, 1799-1801
Olio su tavola
24x34,5 cm
Sul retro etichetta con stemma di Vittorio Emanuele II di Savoia e scritta: "S. A. R. N. 155 / Vittorio Amedeo CIgnaroli

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Nonostante l’etichetta, che indicando la prestigiosa provenienza da Casa Savoia porta l’assegnazione al paesista di corte Vittorio Amedeo Cignaroli, i due dipinti vanno con certezza assegnati ad Andrea Appiani, come...
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Nonostante l’etichetta, che indicando la prestigiosa provenienza da Casa Savoia porta l’assegnazione al paesista di corte Vittorio Amedeo Cignaroli, i due dipinti vanno con certezza assegnati ad Andrea Appiani, come risulta dal confronto con i due piccoli oli delle stesse dimensioni, rappresentanti Marte e Venere e Diana e Atteone e anch’essi formanti un pendant, conservati alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Milano (F. Mazzocca, in La Milano del Giovin Signore. Le arti nel Setttecento di Parini, catalogo della mostra a cura di F. Mazzocca e A. Morandotti, Milano, Skira, 1999, p. 235; F. Leone, Andrea Appiani pittore di Napoleone. Vita, opere, documenti 1754-1817, Milano, Skira, 2015, tavv. LIV, LV) e, come i nostri, rara testimonianza della limitata e particolarissima produzione di paesaggio del grande protagonista del Neoclassisimo lombardo.

Secondo il parere del suo biografo Giuseppe Beretta, la cui opera costituisce una fonte primaria per la conoscenza dell’artista, “Né il paesaggio fu da lui trascurato, poiché operò molti studj dal vero con bel prestigio, come si rilevò da molte opere trovate in sua casa, alla morte di lui”. Anche se queste testimonianze non sono giunte sino a noi, il riferimento sembrerebbe riguardare gli studi in funzione di opere in cui compaiono con un certo rilievo degli sfondi di paesaggio, come il celebre ciclo di affreschi con le storie di Apollo di Palazzo Sannazaro, poi Prina, che danneggiati e staccati sono oggi conservati alla Pinacoteca di Brera (F. Frangi, in Pinacoteca di Brera. Dipinti dell’Ottocento e del Novecento. Collezioni dell’Accademia e della Pinacoteca, a cura di F. Mazzocca, Milano, Electa, 1993, pp. 28-31).

Ritornando al confronto con i due dipinti della Galleria d’Arte Moderna si può riscontrare, oltre all’uso della stessa tecnica dell’olio su tavola, che ha consentito al pittore una rifinitura preziosa, una singolare coincidenza. Sempre secondo l’attendibile testimonianza del Beretta, del resto suffragata dalla evidente diversità del paesaggio nelle due opere, i due quadri “di picciola dimensione, ma assai ragguardevoli”, rappresentano “uno è Diana colle ninfe, tutto operato da lui. Come attesta il sig. cav. Bisi nel riscontro, furono operate dall’Appiani soltanto le figure”. Quindi, mentre in entrambe le tavolette le figure spettano sicuramente ad Appiani, in quella con Marte e Venere il paesaggio si deve ad un’altra mano.

Lo stesso si può ipotizzare per i nostri dipinti, anch’essi databili verso il 1799-1801, dove in quello con la scena pastorale il paesaggio appare più convenzionale e di un gusto arcadico un po’ attardato rispetto alla maggiore naturalezza e modernità, anche in direzione dell’idealizzazione neoclassica, dello sfondo boscoso che accoglie gli amori di Venere e Adone. Quindi mentre il paesaggio del primo andrebbe assegnato ad un ignoto collaboratore, che in effetti ricorda il gusto rococò del Cignaroli cui le due opere sono assegnate nelle etichette, l’altro spetta del tutto a Appiani e rimanda, anche nel tema mitologico, alle sovrapporte del 1790-1795 provenienti da Palazzo Melzi di Milano e ora alla Pinacoteca di Brera (M. Pivetta, in Il Neoclassicismo in Italia da Tiepolo a Canova, catalogo della mostra a cura di F. Mazzocca, E. Colle, A. Morandotti, S. Susinno, Milano, Skira, 2022, pp. 508-509). Se si confrontano gli sfondi di Marte e Venere e della nostra scena pastorale le soluzioni appaiono molto simili, per cui si può pensare allo stesso collaboratore. Mentre in Venere e Adone oltre alla maggiore ricchezza nell’invenzione, con la presenza di diverse figure rese con straordinaria sensibilità, abbiamo una qualità che rimanda ai paesaggi di Domenichino e Albani, ammirati da Appiani durante il suo soggiorno a Roma.

                                                                                                                                                        Fernando Mazzocca

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